La famosa legge di Murphy, forse l’unica verità mai pronunciata su questa terra: se qualcosa va male, puoi essere sicuro che accadrà qualcosa che la farà andare ancora peggio.
Bumble ha dimostrato ancora una volta la assoluta verità di questa legge. In un momento in cui il settore del dating, almeno sul lato grandi player, sembra essersi incartato, e la stessa Bumble presenta trimestrali da brivido, tanto da essere stata costretta a cambiamenti importanti, ecco che una pessima campagna pubblicitaria complica ancora di più le cose.
Solo che in questo caso, almeno, Bumble deve solo dare la colpa a sé stessa, visti che la campagna è sua e la decisione di approvarla e lanciarla è, appunto, interna.
Cosa è successo? Che pochi giorni fa Bumble ha lanciato una campagna di pubblicità in cui giocava sul significato di celibe, prendendo un po’ in giro chi sceglieva questa strada, soprattutto se donna. E naturalmente indicando sé stessa come strumento perfetto per evitare ogni rischio.
Fatto sta che la campagna ha suscitato un vespaio. Probabilmente l’ironia era anche poco percettibile, ma il coro di sdegno e di condanna è stato amplissimo e soprattutto ha messo d’accordo anche punti di vista diversi fra loro. In nome del politically correct, Bumble è stata accusata di tutto, dal non rispettare la libertà di scelta dei singoli al sessismo, in particolare per alcuni annunci che ridicolizzavano le suore.
Il passo falso è stato ancora più sorprendente perché venuto da una app di dating che dell’inclusione e del rispetto aveva fatto la sua ragione fondante. Ricordiamo, a questo proposito, che Bumble è un’app che mette al centro le donne e impedisce agli uomini di fare il primo passo in un match.
Dopo qualche tentativo di difesa puramente di facciata, Bumble ha capito e ammesso l’errore, chiesto scusa e ritirato la campagna.
Resta la caduta di gusto e, soprattutto, il danno di immagine. Per rimarginare le due cose ci vorranno anni, probabilmente.